Ambrogio Fogar nel ricordo della figlia Francesca

 

Voglio rendere omaggio al grande esploratore e voglio ricordarlo attraverso la testimonianza e i ricordi  di sua figlia Francesca.

Sono passati già 6 anni dalla morte di Ambrogio Fogar, il navigatore, esploratore e scrittore. Un uomo che ha fatto dell’avventura la sua ragione di vita. Vi ricorderete tutti le sue straordinarie imprese: il giro del mondo in solitaria, il naufragio verso Capo Horn, la conquista del Polo Nord e poi il terribile incidente che lo ha costretto a trascorrere 13 anni paralizzato nel letto. Nonostante questo Ambrogio Fogar non ha mai smesso di lottare e di sognare regalandoci ancora tante avventure.

Ma nella vita di Ambrogio Fogar ci sono state anche delle ombre.  Per anni le cronache del drammatico naufragio del Surprise e la morte del compagno di viaggio Mauro Mancini  hanno lasciato dei dubbi su di lui. Ma la pubblicazione recente di alcune lettere scritte dalla zattera di salvataggio, raccontano le paure, le speranze ed il coraggio dei due navigatori, testimoniando il forte legame e la profonda amicizia che ha resistito a quei giorni drammatici.

Francesca tuo padre ha vissuto una vita molto intensa all’insegna dell’avventura, mentre detestava la normalità e la programmazione dell’esistenza. E’ stato l’emblema dell’uomo qualunque che insegue il suo sogno di libertà. Ma forse era anche un eroe imperfetto ?

C’è una frase di mio padre che s’ intreccia con questo spirito: “abbiamo tutta la nostra vita a disposizione per imparare ma se non cominciamo è come buttare via la vita”. Sono i sogni che avevi da bambino e che sono diventati per lui  realtà. Questa era la sua forza,  dare veramente voce a quell’istinto,  a quel sogno  e a quella fantasia. Lui è riuscito a fare questo grazie ad un allenamento costante che consisteva nel fare tutto con grande intensità. L’impegno ed entusiasmo che ci metteva dentro era quello di andare in fondo, non sprecarsi solo per  una grande impresa ma anche per i momenti quotidiani. E rendere omaggio alla vita era avere  il massimo rispetto per te e seguire quell’istinto fanciullesco dello stupore e della meraviglia.

Nella vita  di tuo padre ci sono state anche delle ombre iniziate con l’accusa di plagio del libro “Quattrocento giorni intorno al mondo”. Poi è sopravvissuto al drammatico naufragio del Surpirse, mentre Mancini è morto e questo scatenò tanti dubbi e  polemiche. Ricordo che il Surprise, la barca con la quale Fogar aveva fatto il giro del mondo, venne affondato nell’urto con un branco di orche.  I due rimasero sulla zattera di salvataggio ben 74 giorni. Quando un mercantile li trovò, Fogar e Mancini erano due scheletri umani: avevano perso 40 chili.  Ma in poche ore la felicità si trasformò in un profondo dolore: aggredito dalla febbre, Mancini morì due giorni dopo, probabilmente a causa di un’errata somministrazione di medicinali praticata a bordo del mercantile. Ma poco tempo fa sono state pubblicate due lettere che testimoniano dell’intensa amicizia e del legame che Fogar e Mancini avevano. E anche tu hai pubblicato un libro dove riporti molte delle lettere scritte dalla zattera che testimoniano il loro affetto.

Tuo padre come ha vissuto queste ombre e quali sono oggi le tue considerazioni?

Mio padre era bravo a seguire la sua molla interiore e  a seguire i suoi sogni ma non era un ragioniere dell’avventura. Lui era un uomo normale e sbagliava. Non era un supereroe, sbagliava come è accaduto al  Polo e ha ammesso l’errore del plagio del libro. La casa editrice lo assillava ma lui non riusciva a consegnare in tempo il libro. Aveva il problema di come raccontare Capo Horn, che tra l’altro, durante la traversata, non lo trovò  nemmeno particolarmente epico, ma una situazione normale.  Così trovò negli scritti del velista John Guzzwell le stesse situazioni e sensazioni. Chiese di inserire quel testo in modo virgolettato ma per cialtroneria non è stato fatto ed è uscito cosi. Mio padre purtroppo era leggero su delle cose che non gli interessavano ma era sincero e si aspettava che gli altri lo ritennessero tale.La vicenda di Mancini è stata ovviamente ancora più forte. Tutte quelle polemiche lo hanno amareggiato molto e lo cambiarono, si incupì. Si era cercato solo l’aspetto sensazionalistico e non il rapporto umano. Quando scese dal mercantile gli hanno chiesto se già aveva venduto i diritti della “Zattera”. Le televisioni gli fecero un vero e proprio processo,  fu praticamente interrogato da Costanzo. Ne parlò sempre poco perché la considerò una cosa chiusa, una cosa che lo feriva profondamente.

Le lettere scritte dalla zattera narrano delle piccole grandi cose che scandiscono la vita, le emozioni, le tragedie dell’esistenza di questi esseri umani in quel metro quadro di plastica disperso nell’Atlantico del Sud. Sono lettere toccanti. L’incertezza di morire e la solitudine hanno portato Fogar ad aprire la parte più bella di sè, il suo cuore, e tutto l’amore per la sua famiglia. Cosa ha raccontato a te, e, dopo il salvataggio, nella sua vita cos’è cambiato?

Aveva ammazzato  il lato dell’avventura e si chiuse molto in sé stesso. Da un lato ha perso una fetta di spensieratezza, anche senza volerlo si sentiva responsabile per l’accaduto, soprattutto  per aver permesso ad un altro di seguirlo e non essere riuscito a proteggerlo fino in fondo. E per questo si è  molto messo in discussione e una fetta del gioco l’ha persa dopo questa tragedia.Nei suoi racconti c’è sempre il pensiero per Muro Manicni. Il legame che avevano instaurato in quei 74 giorni era fortissimo. E’ il legame di chi è completamente  nudo davanti alla morte, alla disperazione anzi quasi alla certezza che nessuno ti avrebbe più salvato. Anche perché, c’è  l’usanza che dopo un mese le ricerche dei dispersi s’interrompono e ti danno per morte presunta. Mi ricordo che mi raccontò che alla fine del primo mese l’umore era andato a terra: la pancetta era finita, lo zucchero anche ed avevano la sensazione che iniziavano a morire. Ovviamente lui lo sapeva e immagina come dovevano stare,  erano crollate tutte le difese  e andare avanti con la speranza che si affievolisce penso sia stata molto dura. Ma la speranza era anche questione di volontà; e mentre Mauro ne aveva meno perché più grande di mio padre e poi aveva una vita diversa,  lui era allenato e non smise mai di credere che ce l’avrebbero fatta. Mi raccontava di come si fossero dati  delle regole per consumare meno calorie: parlare significava consumare e quindi avevano stabilito che potevano parlare solo un’ora ogni 6 ore di silenzio assoluto. Ma la cosa curiosa e che passate le  6 ore  ricominciavano dallo stesso punto, ovviamente non dalle parole ma dai pensieri che erano scaturiti dalle ore di silenzio.Poi si conservavano le unghie e le pellicine delle mani dentro una bustina perché man mano che i viveri scarseggiavano sapevano che avrebbero mangiato quelle. In ogni suo racconto del naufragio appare evidente la grande forza di volontà di mio padre e la speranza; ogni cosa era pensata per farli resistere il più a lungo possibile.

Francesca tu hai viaggiato molto con tuo padre, erano viaggi avventurosi oppure la tua presenza lo rendeva più protettivo ed evitava di esporti a rischi e pericoli? E Quali sono i valori che lui ti ha trasmesso e che più di tutti ti sono rimasti nella vita?

Erano viaggi bellissimi e avventurosi. Siamo andati spesso in Africa, in America e in molissime isole sparse nel mondo. Era bello, ed è strano da spiegare perchè era come viaggiare con un adulto che era un bambino. Era come essere con uno della mia età. Era tutta una scoperta anche se lui era stato già in tutti questi posti ma c’ero io ed avevo gli occhi diversi. Di rischi ne correvamo spesso, anche giochi pericolosi come sul Grand Canyon quando ci siamo messi su uno sperone a picco nel vuoto e ci siamo detti vediamo chi resiste!!!!. Ma questo atteggiamento lo aveva anche nella vita quotidiana; mi veniva a prendere a casa e al citofono mi dava 10 secondi per scendere altrimenti urlava in mezzo alla strada, e lo faceva. Pensavo di andare insieme a lui dalla nonna invece mi portava sul paracadute o a fare rufting. Era un continuo scoprire, ma anche le piccole cose come studiare, si metteva con me e si meravigliava continuamente anche nel non capire.Cercare di non avere paura di niente, soprattutto delle  cose imposte. Pensare che il  mondo è alla portata di mano, potevo provare tutto quello che volevo se vuoi una cosa e hai la tenacia la puoi ottenere. Non c’è nessuno che è più importante perchè tutti possiamo diventare quello che vogliamo. Mi diceva di non avere paura dei classismi, della società di quello vale di piu perche’ e ricco. Un  suo amico ricchissimo gli disse: “Ambrogio, darei tutti i miei soldi per essere sull’enciclopedia come te…”

 

Poi il rally Parigi-Mosca-Pechino, l’incidente, apparentemente banale, che invece gli ha provocato una frattura della seconda vertebra e lo ha immobilizzato dalla testa giù. Cosa ti ricordi di quel giorno ?

Il giorno dell’incidente l’ho visto al telegiornale e in quel momento ho visto il dramma. Sinceramente  non ho ricordi lucidi ma solo un grandissimo dolore e senza sapere ancora nulla di preciso ho pensato subito che fosse successo una cosa enorme. Quando ho capito il dramma vero, il mio pensiero è stata una tristezza infinita, anche perché non era nelle previsioni di mio padre finire così,  immaginava una morte violenta, mentre ha avuto una seconda vita all’opposto della prima. I primi tempi la sua sofferenza era assordante, non parlava, chiudeva gli occhi aveva un dolore indescrivibile. Poi negli anni ha imparato a guardare le cose anche da un altro punto di vista. Finora si era occupato lui di noi, ora eravamo noi che ci dovevamo prendere cura di lui.

Ma non smise mai di desiderare l’avventura, dalla “Forza di Vivere” scritto in quegli anni dal letto, leggiamo: ” E’ strano scoprire l’intensità che l’uomo ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d’aria rubata da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: Speranza. Ecco, se leggendo queste pagine qualcuno sentirà la rinnovata voglia di sperare, avrò assolto il mio impegno, e un altro momento di questa vita così affascinante, così travagliata e così punita si sarà compiuto. Una cosa è certa: nonostante le mie funzioni non siano più quelle di una volta, sono fiero di poter dire che sono ancora un uomo.” E con questa forza Fogar partì per Operazione Speranza un giro d’Italia su una barca a vela appositamente attrezzata. Come ha fatto a resistere?

Ha dimostrato di avere un carattere fortissimo. Per lui prima la vita era facile, seguiva la sua natura e  partiva dalla voglia, dal desiderio, dalla spinta. Ma dal letto non è più la voglia ma  la volontà di pagare il prezzo di tutta quella che voglia che avevi avuto prima.È la forza della vita che gli ha insegnato a non mollare mai, anche quando sei sul punto di dire basta. Ci sono cose che si scelgono e altre che si subiscono. Lui non si voleva arrendere, non voleva perdere.

 

 

Poi la speranza con il medico cinese, la possibilità di nuove cure sperimentali utilizzando le cellule staminali e il sogno infranto, Ambrogio muore prima di quel viaggio della speranza, era il 24 agosto del 2005.Tu ti sei prodigata moltissimo perché si avverasse questa possibilità, qual’è il rammarico maggiore?

Mio padre voleva resistere perché sperava un giorno di riprendere a camminare, di alzarsi da quel letto con le sue gambe e di guardare il cielo. Avevo molta paura di questa via sperimentale, soprattutto perché poteva illuderlo. Ma quando mi ha chiesto quanto ci voleva per questa avventura?  E io dissi l’1% mi ha lasciata sorridente e soddisfatta. Quel 1% di possibilità di riuscita era diventata tutta la sua speranza, la sua vita e anche la mia. Così feci il viaggio in Cina, e seppi che c’era una fila di attesa di mesi e anni, ma parlai con quel medico cinese per fargli capire quanto mio padre fosse importante e così fissammo l’intervento per il mese successivo.  Ero spinta e angosciata, mi dicevo che c’era fretta perché avevo paura che morisse prima.  In questi casi gli avevano dato 7 anni di vita ed invece eravamo a 13,  ma io sapevo che c’era poco tempo.  Ero tornata il giorno del suo compleanno da Pechino con tutte queste buone notizie, era il 13 agosto, lui era felice, ma dopo dieci giorni morì. Mi sono detta chissà come sarebbe andata in Cina….la speranza era tornata a volare dopo 13 anni e lui se n’era andato proprio in quel momento..

 

Hai ancora dei contatti con Roberta Vigna,  la moglie di Mauro Mancini? E la zattera che fine ha fatto?Non ci sono stati tanti chiarimenti. In verità ho sempre pensato di chiamarla ma ho trovato resistenze nella mia famiglia e non l’ho mai fatto. Ma dopo la pubblicazione della lettera che lei ha dato al Corriere, l’ho chiamata per ringraziarla e lei è stata molto contenta, e ci siamo scambiate anche altre lettere.Quanto alla zattera esiste ancora ma molto malandata e per fotuna se n’è interessato Eolo Pratella, amico storico di mio padre, che la sta restaurando per donarla al Museo del Mare di Genova.Guardare la zattera  mi fa un effetto strano di incredulità, 30 cm di gomma  sperava mio padre e Mauro da 10 miglia di abissi marini e sono stati in vita, lì sopra, per ben  74 giorni, è una sensazione di incredulità e di tenerezza.

Anche tu sei un’appassionata di mare. Pensando a quello che tuo padre ha vissuto come guardi i velisti di oggi in cerca dell’avventura e dei record, nella massima sicurezza con il gps e tutte le attrezzature di appoggio, mentre tuo padre ha fatto il giro del mondo avendo con sé solo il carteggio nautico? E cosa ti ha insegnato il mare?

Sono sempre stata molto critica e pensavo che chi prima faceva il giro del mondo e naufragava era un eroe, mentre oggi, con tutti i mezzi, è un “cretino”. Ma poi ho conosciuto Soldini,  e mi ha fatto capire che il mare è il mare, il vento  e le onde non sono cambiati, la tempesta c’e’ sempre, anche se hai il satellitare. E’ vero c’è più sicurezza ma  il mare  merita comunque rispetto, nervi saldi, speranza di farcela e lottare come leoni poi se oggi lanci l’SOS è  più facile ma se arrivano dopo 6 ore, puoi sempre essere già  morto.Il mare mi ha insegnato quello che ha insegnato a mio padre. Che non bisogna mai accontentarsi di veder le cose per pensare di averle capite, bisogna guardarle da vicino, andare in fondo, perché continuano a cambiare. Sopra puoi vedere l’arcobaleno ma sotto ci sono le forti correnti esattamente come in mare, il mare è come la vita.  Il mondo è così vasto ed ha tante direzioni, e seguendo ognuna di queste si può capire e tenere alto l’interesse per la vita. Mi ripeteva sempre che  la paura deve essere l’altra faccia del coraggio perché è solo grazie ad essa che puoi buttare il cuore oltre la siepe.


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